L'importante è che la morte ci colga vivi (Marcello Marchesi)

"L'importante è che la morte ci colga vivi" (Marcello Marchesi)

giovedì 28 febbraio 2013

IL BALLETTO DEI MONTI BOND. PICCINERIE POLITICHE?

NEW YORK. Ieri, intorno all'ora di pranzo, Bloomberg News aveva diffuso una corrispondenza dall'Italia in cui i suoi inviati Elisa Martinuzzi e Sonia Sirletti riferivano la possibilità che il governo Monti stesse pensando di rinviare il piano di salvataggio per banca Monte dei Paschi di Siena costituito dall'emissione di nuovi strumenti finanziari denominati Monti bond per 3,9 miliardi di euro, obbligazioni al 9% di interessi che possono salire al 15%. Secondo le fonti governative riportate per lasciar gestire la scelta al prossimo governo, anche se il decreto legge promulgato a suo tempo imponga come data limite per la concessione degli aiuti il 1 marzo 2013. Bloomberg News aveva contattato sia il governo italiano che la banca senese, non ricevendo né conferme né smentite alla notizia.
Nella presa di posizione del governo Monti potrebbe aver pesato la presentazione di ricorso fatta dal Codacond al Consiglio di Stato avverso la decisione sfavorevole pronunciata dal Tar, cui aveva chiesto di fermare la concessione del prestito a Rocca Salimbeni. Sulla vicenda dei Monti-bond la parola passerà al Consiglio di Stato, che si pronuncerà il prossimo 22 marzo in merito all'appello presentato dal Codacons contro la sentenza del Tar Lazio che, non vedendo un danno grave e irreparabile, aveva respinto il ricorso dell'associazione. Possibile che anche la sconfitta elettorale del movimento centrista che fa capo al presidente del consiglio uscente, senza la contestuale vittoria del Partito Democratico, abbia favorito il ripensamento. La concessione dei nuovi strumenti finanziari "ad bancam" travalica ogni regola democratica in Italia e in Europa, tanto da aver avuto necessità di gestazione lunga e complessa sotto l'aspetto giuridico e finanziario. Mario Monti e Vittorio Grilli potrebbero così lavarsene le mani lasciando eventuali azioni legali future a carico di chi vorrà prendere una decisione positiva in proposito: non vale più la pena di salvare la banca del "partito"?
Affanno per tutto il pomeriggio e la serata, nella frenetica rincorsa a chiudere una vertenza sbucata dal nulla che tanti danni poteva produrre, e non solo per le risultanze giornaliere della Borsa, in cui il titolo MPS ha perso il 2,11%. Ufficiosamente le indiscrezioni di Boloomberg News sono state respinte in seguito “da fonti vicine al dossier, che hanno negato alcun problema politico”. Tanto che “Tutto procede secondo i piani", si fa sapere da Palazzo Chigi, lasciando dunque intendere che non vi dovrebbe essere alcun rinvio. L’emissione da parte di MPS e la sottoscrizione da parte dello Stato Italiano dei Monti bond sono il passaggio obbligato affinché la banca raggiunga le soglie patrimoniali fissate dall'Eba ed evitare quindi pericolosi attacchi speculativi. Comunque il termine per la sottoscrizione è quello di venerdì 1 marzo, per cui in giornata si attende che Rocca Salimbeni proceda all’emissione degli strumenti finanziari occorrenti.

FONDAZIONE MPS, NOMINATI DEL PD E L'ABBRACCIO MORTALE CON LE BANCHE D'AFFARI

Solo in Italia e solo grazie a una legge sul conflitto di interessi che più insensata non si può poteva succedere che il consigliere finanziario di una banca e anche della sua fondazione bancaria di riferimento, nonché primo azionista assoluto, potesse anche svolgere il ruolo di finanziatore dei due istituti. Che erano guidati da due persone che non avevano alcun titolo di merito per farlo, né universitario, né professionale, tanto che potranno affermare di essere stati circuiti E DI ESSERE DEGLI SPROVVEDUTI. Lo abbiamo scritto e ripetuto tante volte, in questi anni, e alla fine un faro è stato acceso dalla procura di Siena. Infatti l’inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena apre un nuovo filone che riguarda il ruolo delle banche estere (SALVO POI TOCCARE A QUELLE ITALIANE) che hanno assistito banca e fondazione dall'operazione Antonveneta in avanti.

Ben tre quotidiani nazionali La Stampa, Il Messaggero e Il Corriere della Sera affermano che l'indagine dei pm di Siena, Antonio Nastasi, Aldo Natalini e Giuseppe Grosso, si sposta proprio sulle banche che hanno tratto maggiori vantaggi dall'affare Santander-MPS.  Jp Morgan nel 2008 solo con gli interessi del Fresh (il prestito mascherato da aumento di capitale) avrebbe guadagnato 82 milioni di euro: Mussari e Vigni sistemarono i bilanci, facendo credere a Banca D’Italia la sostenibilità dell’acquisto di Antonveneta.  

Secondo Il Messaggero gli uomini del nucleo di polizia valutaria, guidato dal generale Giuseppe Bottillo, “stanno verificando se si profilino responsabilità anche a carico dei manager delle altre banche e in
particolare di Jp Morgan, che ha strutturato il Fresh. Oltre agli 82 milioni del 2008, Jp Morgan ne ha incassato altri 4 per la consulenza alla Fondazione. Ma deve avere guadagnato molto di più a giudicare dagli
incarichi: dalla strutturazione del Fresh, al book running per l'aumento di capitale della banca”. E se non ci sono abbastanza spunti per i magistrati, ci piace ricordare il doppio ruolo di JP Morgan nell’aumento di capitale 2011, quando doveva sistemare la partita del Fresh nel più complesso gioco del maxi prestito con clausola capestro (covenant) che ha ridotto la Fondazione alla miseria più assoluta.
La Repubblica, a inizio febbraio, ha potuto leggere il contratto stipulato nel 2011 dalla Fondazione MPS con JP Morgan “per l'erogazione di un prestito di 600 milioni di euro con cui sostenere un aumento di capitale da 2,1 miliardi, documenta comeea che prezzo la Fondazione Mps decise, contro ogni logica di equilibrio finanziario, di consegnarsi all'abisso di un debito insostenibile”. Prosegue la lettura del contratto rivelando che “la Fondazione, di fronte a un nuovo aumento di capitale, avrebbe una sola strada da percorrere: diluire la propria quota in Mps, come del resto le consigliano in quel frangente i suoi due advisor, Credit Suisse e Banca Rotschild. Non fosse altro perché, in quel momento, tutti gli indicatori - dal valore del titolo in caduta libera, alle perdite sanguinose sui derivati, di cui la banca è imbottita- consigliano di non investire liquidità in nuove azioni per altro in sicura perdita. Al contrario, la Fondazione decide di stringersi al collo il cappio che le porge Jp Morgan e il consorzio di 10 banche pronte a erogare un prestito di 600 milioni di euro con ritorni importanti, vista la disperazione di Rocca Salimbeni.
Parliamo - come si legge nelle 126 pagine del contratto di "loan"- di Barclays (che finanzia 50 milioni), Bnp Paribas (60 milioni), Credit Agricole (50 milioni), Deutsche Bank (60 milioni), Goldman Sachs (30 milioni), Intesa san Paolo (60 milioni), Jp Morgan (60 milioni), Mediobanca (60 milioni), Natixis (60 milioni), Royal Bank of Scotland (50 milioni), Unicredit (60 milioni)”. Ma il pool degli “assassini” (termine colorito con cui si indicano a Siena i fantini che corrono il Palio, ndr) avrà letto le preoccupate indicazioni degli advisor? Con quale leggerezza si possa prestare soldi a chi non ha la capacità di produrre reddito per rimborsare il finanziamento, non ci è dato di comprenderlo. E anche Palazzo Sansedoni ha grosse difficoltà di comprenderlo, al punto di accorgersene soltanto dopo un anno. “Nel 2012 la Fondazione comprende di non poterne onorare né i costi né la scadenze – prosegue il racconto - e dunque procede a quella dolorosa ristrutturazione del debito che le consente, dopo la restituzione immediata di 600 milioni di euro realizzati da dismissioni di partecipazioni e vendite di azioni, di abbattere l'indebitamento da 1 miliardo di euro a 350 milioni nei confronti di Jp Morgan. Con un nuovo tasso di interesse, fissato questa volta nell'Euribor a sei mesi maggiorato di 425 punti base, per un costo cioè superiore a quello dei "Tremonti bond". Cum grano salis gli stessi signori che hanno confezionato il fallimento della Fondazione e della città possano ritenere di essere le persone più indicate per scrivere il nuovo statuto dell’ente, è difficile da capire.

mercoledì 27 febbraio 2013

PERDERE LA TRIPLA A CON DIGNITA'

Non ha avuto molto eco sulla stampa tricolore la notizia dell’ultima uscita di Moody’s, che ha tagliato il giudizio sui titoli di Stato della Gran Bretagna che perdono la tripla A abbassando quindi il rating ad Aa1. Nel novembre 2012 era toccato ad Austria e Francia perdere la vetta della classifica, in cui stazionano ormai pochissimi paesi: Germania, Finlandia, Lussemburgo e i Paesi Bassi (che per non correre rischi hanno nazionalizzato pochi giorni or sono Sns, la quarta banca del paese con un decisionismo fulminante). La previsione sulle prospettive economiche e finanziarie di lungo termine, tuttavia, rimane stabile vista la flessibilità che garantisce una politica monetaria indipendente dalla Ue e  il relativo rischio d’esposizione legato a un sempre possibile peggioramento della crisi dei debiti sovrani nel Vecchio Continente. Certamente la decisione di abbassare il rating, che per gli Stati valuta i titoli obbligazionari in base al loro rischio finanziario, è legata ad alcuni problemi che la Gran Bretagna deve affrontare per risanare il suo bilancio pubblico.
Non c’è stata la levata dell’opinione pubblica perché, fondamentalmente, i politici locali non si sono stracciate le vesti in piazza come certi “esperti” in Italia che tutti ben ricorderanno. Il cancelliere dello scacchiere George Osborne, carica che equivale al nostro ministro dell’economia, ha affermato che il taglio del rating da parte di Moody’s deve essere considerato “un duro monito sui problemi di credito che il nostro Paese deve affrontare. E la più chiara indicazione possibile per chiunque pensi che si possa rifuggire dall’affrontare quei problemi. Non fuggiremo dai nostri problemi, li supereremo”. Ovvero facciamo parte di un sistema e lo affrontiamo con le regole che ci siamo dati nella buona e nella cattiva sorte. In Italia invece si fa parte di un sistema solo quando gira bene per noi a prescindere dalla situazione generale nel suo insieme. Forse è per questo che sovente i risultati lasciano molto a desiderare.

martedì 26 febbraio 2013

LA MAREA NERA DELLA LOUISIANA: A PROCESSO LA BRITISH PETROLEUM

Tre anni dopo il disastro della Deepwater Horizon nel golfo del Messico, si apre in queste ore a New Orleans (Louisiana) la prima fase del processo civile sul gravissimo disastro ambientale provocato dall’esplosione e dalla conseguente fuoriuscita di greggio in mare sulla piattaforma petrolifera della British Petroleum lo scorso 20 aprile 2010. Una crisi ecologica profondissima, che ha probabilmente alterato per sempre il mare del sud degli Stati Uniti, durata 106 lunghi giorni con lo sversamento in mare di 4,9 milioni di barili di petrolio, la morte di 11 operai e il ferimento di altri 17, distrutto l’economia di tutta la fascia costiera che va da New Orleans alla Florida. La multinazionale inglese aveva affittato dalla svizzera Transocean, la più grande compagnia al mondo nelle perforazioni off-shore, la piattaforma chiamata Deepwater Horizon per 496mila dollari al giorno; ora è imputata della violazione del Clean water act, la legge Usa che regola gli scarichi di sostanze tossiche nei mari, per la qual cosa è già stata condannata in sede penale.
In questa fase saranno determinate le colpe della compagnia petrolifera e la dinamica dei fatti. La seconda fase del dibattimento, che dovrebbe cominciare a settembre, servirà invece a stabilire quanto petrolio sia finito in mare. I media locali riportano che l’accusa sta utilizzando ben 300 super avvocati, come riferiscono i media locali. Gli Stati coinvolti, infatti, hanno presentato un conto alla British Petroleum salato: chiedono un risarcimento di 34 miliardi di dollari, a cui aggiungere quello richiesto dal Dipartimento della giustizia di altri 21, la sanzione massima prevista in questi casi (4.300 dollari per ogni barile riversato in mare). Il ministro della Giustizia americano, Eric Holder, ritiene infatti che all’origine del disastro ci sia stata una «grave negligenza» da parte della BP. Mentre uno degli avvocati di parte civile, Jim Roy, ha parlato di «produzione e profitto a scapito della sicurezza e della protezione».Dal canto suo BP ha reso noto di aver già speso più di 24 miliardi di dollari per le spese relative alla marea nera e stima in 42 miliardi il costo definitivo della bonifica. L'accordo nella grande causa civile, al momento, sembra però difficile da raggiungere in quanto l'azienda petrolifera non sembra intenzionata a superare in totale, per tutti i risarcimenti, la cifra di 42,2 miliardi di dollari. Assieme alla Bp, sul banco degli imputati, ci sono la Transocean proprietaria dell’impianto di trivellazione e la Halliburton, che ha fornito il cemento che avrebbe dovuto mettere in sicurezza il pozzo.

DEFINITIVO CAPOLINEA DEL PONTE DI MESSINA

Poiché il prossimo primo marzo saremo in assenza di un governo in pienezza di mandato che possa deliberare l’atto aggiuntivo indispensabile alla sua realizzazione, possiamo dire che si metterà fine per sempre all’ultimo progetto inutile quanto faraonico voluto dal governo Berlusconi: il ponte sullo stretto di Messina. L’atto aggiuntivo è richiesto dalla legge, che vuole anche il rispetto perentorio del termine del primo marzo. L’odierno Consiglio dei Ministri ha ascoltato la relazione di Corrado Passera, ministro per le infrastrutture, che ha certificato “l'assenza delle condizioni necessarie per l'emanazione di un decreto legge di proroga del termine per la stipula dell'atto aggiuntivo (fissato al 1 marzo 2013), come era stato richiesto dal Contraente generale”. Il ministro ha spiegato ai suoi colleghi che “il Contraente generale è receduto dal contratto lo scorso novembre e, in seguito, ha impugnato di fronte al Tar del Lazio la nota con cui Stretto di Messina Spa si opponeva al recesso. La relazione ha sottolineato inoltre l'assenza delle condizioni necessarie per l'emanazione di un decreto legge di proroga”. Complessa è la partita legale da spiegare, ma il risultato è semplice. Questo inutile ponte del malaffare non si farà.
Gli avversari più agguerriti del megaprogetto sono stati insieme a tanti italiani, Fai, Italia Nostra, Legambiente, Man e Wwf che hanno inviato ieri una lettera al Presidente del Consiglio Mario Monti con l’invito a chiudere definitivamente la vicenda: “Nelle parole di Corrado Passera la conferma dei nostri timori su possibili forzature all'esame del Consiglio dei Ministri di oggi sul ponte sullo Stretto di Messina. E' un bene che il Governo abbia deciso di non procedere con la proroga per decreto del termine perentorio del primo marzo 2013 entro il quale Stretto di Messina SpA (concessionaria pubblica) e il General Contractor Eurolink (capeggiato da Impregilo) dovrebbero presentare l'atto aggiuntivo al contratto vigente, sospeso con il decreto sviluppo-bis n. 179/2012, convertito nella legge 221/2012. Ora, se non saranno mantenuti gli impegni questa vicenda sarà da considerarsi chiusa, dopo 10 anni di inutili progettazioni (nel 2003 è stato presentato il progetto preliminare) e senza che ancora sia stata dimostrata la fattibilità tecnica ed economico-finanziaria del ponte sospeso (stradale e ferroviario) più lungo del mondo (3.3 km di lunghezza, sorretto da torri di circa 400 m di altezza), localizzato in una delle aree a più elevato rischio sismico e di maggior pregio naturalistico del Mediterraneo.
Infatti, dal primo marzo, se non ci sarà un atto aggiuntivo, si deve mettere la parola fine al progetto del ponte sullo Stretto di Messina e cancellare la Stretto di Messina SpA; lo richiede la legge. D'altra parte, come da noi sottolineato nella lettera inviata ieri al Presidente del Consiglio Monti, un provvedimento del Governo sarebbe stato un'ingiustificabile strappo istituzionale, compiuto da un esecutivo in  scadenza, e rispetto alle stesse norme volute dal Governo e approvate dal Parlamento nelle quali, nel caso non venga rispettato il termine perentorio del primo marzo 2013 per la stipula dell'atto aggiuntivo, si stabilisce che: 1. siano caducati tutti gli atti che regolano i rapporti di concessione, nonché le convenzioni ed ogni altro rapporto contrattuale, 2. si proceda con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri alla liquidazione della Stretto di Messina SpA (come viene stabilito ai comma 8 e 9 dell'art. 34-decies della legge n. 221/2012)”. 

ESITI ELETTORALI DA BRUXELLES A SIENA

Come prevedibile, l'esito delle elezioni politiche italiane ha affossato piazza Affari. Le contrattazioni si sono chiuse con il Ftse Mib che ha perso il 4,89% a 1552 punti. L'ipotesi che i mercati paventavano, come gli esponenti politici europei che osservavano l’evoluzione dei dati di voto italiani, cioè la possibile situazione di  ingovernabilità è divenuta reale. L’ultimo anno di legislatura sotto guida tecnica di Monti era scivolato senza riuscire a fare la riforma elettorale; il Partito democratico per diversi mesi ha pensato che sarebbe stato ininfluente, visto il vantaggio che gli veniva accreditato. Invece è andata così con un Senato senza maggioranza e quasi senza prospettiva, dal momento che il Movimento 5 Stelle può attendere sotto le Forche Caudine chiunque avvii colloqui per la formazione di un governo, che deve passare attraverso l’approvazione di Grillo & C. A meno che dopo tutti gli stracci che sono volati in questi 45 giorni non si ritorni a un secondo governo tecnico, con quale premier tecnico non si sa, in attesa di votare il ministro Paola Severino (l’avvocato di Prodi, Acampora, Geronzi, Caltagirone, Gifuni, Enel, Telecom tra i tanti clienti dello studio) nuovo Presidente della Repubblica e andare a elezioni autunnali sperando di aver logorato i grillini.
Ne consegue che tutti i titoli bancari hanno avuto difficoltà ad aprire, e quando ci sono riusciti è stato rosso fuoco. Poi è arrivata l’asta dei Bot: il Tesoro ha collocato 8,75 mld euro di Bot a 6 mesi con un rendimento sui massimi da fine ottobre all'1,237%, contro lo 0,731% precedente e un bid-to-cover in calo a 1,44. Avranno le loro buone ragioni Berlusconi per un verso e Grillo per un altro a dire che lo spread non conta o che non si mangia. Fatto sta che gli interessi passivi per l’Italia sono quasi raddoppiati nello spazio di un giorno, e finché il debito pubblico italiano rimarrà sui livelli a cui i due ultimi governi l’hanno portato sarà bene che la politica ne tenga conto. MPS non ha fatto eccezione al trend negativo con -5,84% a euro 0,2129. Lo spread sul decennale Btp/Bund è salito a 354 punti base, seminando incertezza a mani basse. In particolare colpisce, però, la performance di banca Carige che ha ceduto il 7,8% a 0,65 euro, in linea sì con i cali del settore, ma che la banca ha approvato le linee guida di un adeguamento della struttura patrimoniale del gruppo, che prevede interventi sul patrimonio, sulla struttura dei costi e sulla rete distributiva.
Si preannuncia un periodo deprimente per i titoli bancari, al punto che la Fondazione MPS non potrà alienare altre azioni di Rocca Salimbeni come più volte preannunciato. Mercoledì 27 febbraio la Deputazione Generale discuterà nel segreto delle stanze la bozza di nuovo statuto studiata dall'avvocato Angelo Benessia, legale storico dell'ente. L’uscita di scena del candidato sindaco del Pd Ceccuzzi rischia però di sparigliare ulteriormente le carte, aumentando la fronda interna: potrebbero arrivare perfino dimissioni a catena, anche se il presidente Gabriello Mancini, secondo indiscrezioni raccolte da Milano Finanza, sembrerebbe intenzionato a mantenere l'incarico fino alla scadenza naturale, prevista per il prossimo mese di luglio. Le grandi manovre anticipate, vedono già in corsa per la poltrona che fu di Mussari fino al 2006, alcuni nomi conosciuti in città ma forse sono voci solo per bruciare candidature. L’esito delle prossime amministrative di maggio è abbastanza incerto per formulare previsioni attendibili, e il commissario Lauadanna in comune si sta distinguendo per un’azione prudente quasi priva di iniziativa. Tuttavia “il consenso delle principali correnti politiche starebbe a poco a poco confluendo su due candidati per la successione a Mancini” scrive MF. Che spiega: “il primo sarebbe Alessandro Piazzi, attuale ad della multiutility Estra Energia, nonché consigliere della Fondazione Mps. L'altro nome che i ben informati danno in pole position per il dopo Mancini sarebbe quello di Pier Luigi Fabrizi, storico presidente del Monte dei Paschi dal 1998 fino al 2006 e vicino all'ex primo cittadino di Siena, Maurizio Cenni”.

lunedì 25 febbraio 2013

HANFORD, UN ALTRO DISASTRO NUCLEARE

Quando si trattava di riaprire la seconda era nucleare italiana il problema del deposito delle scorie era volutamente sottostimato da Berlusconi, Chicco Testa, Umberto Veronesi e da tutta la falange dei nuclearisti nazionali. Eppure il governo degli Stati Uniti d’America spende da molto tempo due miliardi di euro all’anno per la gestione, la manutenzione e la bonifica del deposito sito presso la centrale nucleare di Hanford, nello stato di Washington. Un posto definito “probabilmente il sito più inquinato del mondo”. Adesso che si sono preoccupati anche gli americani, i nostri galantuomini tacciono indifferenti, ma nella situazione che andiamo a raccontare potevamo finirci anche noi. 23 febbraio: incidente nucleare presso il sito di Hanford perché sono state segnalate su sei serbatoi presenti nel sito dove si produce plutonio arricchito perdite di materiale radioattivo con contaminazione del terreno e delle falde acquifere, visto che i serbatoi sono interrati e contengono i rifiuti nucleari di gran parte delle centrali americane.
Il governatore dello Stato, Jay Inslee, ha emesso un comunicato secondo cui “non ci sarebbero rischi per la salute della popolazione”, ma è corso immediatamente a verificare lo stato della situazione. Inslee ha  incontrato con il segretario all'Energia, Steven Chu: "Il segretario Chu mi ha informato che ci sono perdite da sei singoli serbatoi al sito di Hanford, non solo una come si era appreso in un primo momento. L'entità delle perdite varia da un serbatoio all'altro. Ma è stato molto chiaro nell'affermare che non ci sono minacce imminenti per la salute pubblica da queste perdite" ha affermato il governatore. Tuttavia è risaputo che nel sito di Hanford sono stoccati milioni di galloni di scorie radioattive nucleari, in serbatoi che hanno da tempo superato i 20 anni dell'età massima prevista. Ai tempi della II guerra mondiale il progetto Manhattan (realizzazione della bomba atomica) aveva previsto l’uso del sito per stoccare le scorie di produzione di armi nucleari nel corso della guerra fredda.

LA FONDAZIONE MPS FONTE DI INDAGINI GIUDIZIARIE

Vatti a fidare delle banche! Il 5 gennaio scorso Rothschild si è aggiudicato il premio come advisor finanziario dell’anno per l’Italia. Ad assegnarlo sono stati il Financial Times e Mergermarket nell’ambito degli European M&A Awards 2012, tenutisi a Londra nel mese di dicembre 2012 quando i protagonisti del mercato della consulenza finanziaria mondiale hanno premiato se stessi per la capacità di accumulare consulenze e quattrini facili. Rothschild è anche l’advisor incaricato da banca MPS di vendere al miglior offerente MPS Leasing & Factoring, come avevamo scritto nello scorso 26 settembre 2012, quando avevamo dubitato che fosse una scelta felice per via di certi trascorsi criticabili. Rothschild (insieme a Credit Suisse) aveva curato la consulenza e la raccolta del prestito miliardario con cui la Fondazione MPS aveva partecipato all’aumento di capitale del luglio 2011. Quella operazione contrastata nelle segrete stanze di Palazzo Sansedoni che costò il posto a Marco Parlangeli (quando si potranno conoscere i verbali degli interrogatori ne sapremo di più) e di cui l’ex Provveditore ha dato spiegazioni agli inquirenti lo scorso 12 febbraio. Dovrebbe aver chiarito anche i termini in cui fosse a conoscenza del Fresh 2008, la madre di tutti i debiti impagabili della Fondazione, sottoscritto con Jp Morgan e dell’esistenza delle due indemnity che l’ex vice Direttore Generale di Monte dei Paschi Marco Morelli avrebbe firmato a favore della stessa Jp Morgan e l’altra a favore Bank of New York nascondendole alla Banca d’Italia.
E proprio in Banchi di Sotto si segnalano tensioni nella Fondazione MPS: sembra che ci sia una fronda silenziosa  che faccia pressione sul presidente Gabriello Mancini affinché avvii un’azione legale nei confronti degli advisor Credit Suisse e Rothschild. Secondo Il Tirreno “Si tratta dei consulenti finanziari che avrebbero indotto, secondo i proponenti. la Fondazione a modificare il Documento programmatico pluriennale strategico per consentire un incremento dell’indebitamento per far fronte a un eventuale aumento di capitale. Valutazioni completamente sbagliate su cui si allunga l’ombra di un doppio conflitto di interessi. Il primo è coniugale: nella riunione del 4 aprile 2011 l’advisor inviata da Rorhschild è Ilaria Romagnoli; a precederla è Guido Banti, il cui superiore è Paolo Celesia, capo dell’ Equity Capital Markets di Credit Suisse e marito della Romagnoli. Il secondo conflitto di interesse è legato al fatto che presso Credit Suisse è parcheggiato parte del «fresh» (circa 300 milioni) contratto dalla Fondazione per partecipare al maxiaumento di capitale di Mps del 2008. Quindi, un creditore della Fondazione è anche il consulente che lo assiste nel corso dell’operazione che lo porta a indebitarsi ulteriormente”.
 Il Capo della banca d’affari Rothschild in Italia è Alessandro Daffina. E’ stato sentito due volte dai Pm della Procura di Siena in questi giorni. E’ la seconda volta che Antonveneta porta il banchiere al cospetto della magistratura, la prima fu all’epoca del tentativo di Opa di Gianpiero Fiorani nel 2005. La seconda per gli avvenimenti del 2007: Daffina faceva da consulente al Santander, ma contattò il presidente senese Giuseppe Mussari per offrirgli il suggerimento di proporsi a Botin come compratore offrendo il testo di una lettera con cui farsi avanti. “Niente di strano” commenta Daffina secondo l’Espresso “Sono cose che possono capitare nel corso di una trattativa d’affari”. Nel 2011 Daffina è immerso fino al collo nella partita che porta la Fondazione MPS a indebitarsi. Sarebbe quindi il soggetto dell’azione legale che raccontavamo poco fa. L’Espresso scrive che “secondo quanto è emerso in questi giorni, entrambi gli advisor misero per iscritto le loro perplessità sull’entità e sulle modalità tecniche dell’operazione. Invece di finanziarsi vendendo partecipazioni, ad esempio la quota in Mediobanca, l’ente senese accese nuovi debiti per 600 milioni. Mettendosi di fatto un cappio al collo”.
Con tutta l’opinione pubblica concentrata sulle elezioni di cui oggi si avranno i primi risultati, la Fondazione ha goduto di alcuni giorni di silenziosa indifferenza. Eppure la scadenza del 28 febbraio, termine tecnico per procedere al rinnovo dello Statuto, si avvicina a passi da gigante. E’ chiaro che la Deputazione che ha così male amministrato la Palazzo Sansedoni non è legittimata a fare modifiche nello Statuto, che di tutta questa situazione non ne ha colpa. La colpa è delle persone, degli individui che non hanno saputo ottemperare ai compiti a cui erano stati chiamati. Rinnovare la composizione della Deputazione è solo una parvenza di riforma di cui nessuno sente la necessità, specie se a deciderla è un comitato di nominati in scadenza che ancora non si rendono conto dei gravissimi danni arrecati alla città, altrimenti se ne sarebbero già andati. Al momento della quotazione in borsa l’azione MPS valeva 5,8 euro, oggi alla ripresa incerta dei mercati finanziari vale 22 centesimi o poco più. L’azione legale che veniva auspicata nell’articolo questa deputazione non la può fare: certamente gli accusati chiamerebbero Mancini & C. in causa di correità. Forse è per questo che stanno attendendo l’ultimo momento utile per andarsene.

domenica 24 febbraio 2013

LA PROSSIMA VITTIMA DI MPS E' UNICOOP FIRENZE

All’assemblea straordinaria del Monte dei Paschi per autorizzare i 6,5 miliardi di aumento di capitale necessari a poter sottoscrivere i Monti bond ha brillato per la sua assenza. Dopo aver attivamente partecipato al CdA di Rocca Salimbeni dal 2006 a oggi ricevendo compensi, per il periodo 2006-10 pari a euro 622.000,00 (fonte un dossier curato da Renato Brunetta, ndr), Turiddo Campaini,  73enne presidente di Unicoop Firenze, ha pensato probabilmente che andare a sentire le critiche di tanti anni di acclarata mala gestione della banca senese non fosse per lui cosa piacevole. Ma che la faccenda puzzasse ormai di bruciato l’aveva capito lo scorso dicembre, quando prima di Natale ha rinunciato alla poltrona di Vice Presidente, per rimanere però consigliere. Se ne è accorto anche Il Sole 24 Ore che qualche domanda gliel’ha voluta porre.
“Tutte le strade di Unicoop Firenze portano a Siena” scrive Giuseppe Oddo “Il colosso toscano della grande distribuzione organizzata non è solo un importante azionista del Monte dei Paschi, con il 2,7% del capitale, ma anche tra i suoi maggiori clienti. La sua finanza gira intorno a piazza Salimbeni. Sui suoi conti correnti presso il Monte convergono sia la maggior parte degli incassi dei supermercati – 2,4 miliardi di giro d’affari nel 2012, pari a oltre 7 milioni al giorno – sia il prestito sociale ovvero il denaro raccolto nel tempo tra i 250mila soci della cooperativa per finanziarne lo sviluppo. Le coop sono infatti, con le banche, le uniche imprese autorizzate alla sollecitazione del pubblico risparmio. Il prestito sociale di Unicoop Firenze, che alimenta il conto n° 64.508 di Banca Monte dei Paschi, sfiora i 2,650 miliardi ed è investito in attività finanziarie, per lo più titoli e quote di fondi comuni d’investimento. Il conto presenta un saldo annuo nell’ordine di qualche milione.
Il 90% dei ricavi delle vendite transita invece per alcuni conti operativi del Monte, che presentano depositi nell’ordine di svariate decine di milioni e “pronti contro termine” che possono superare i 250 milioni. Il restante 10% confluisce su istituti come Banca di San Miniato e Carifirenze. Questo polmone di liquidità serve per pagare i fornitori entro 60 giorni dalla consegna della merce. È una massa imponente di denaro che fa di Unicoop Firenze, con i suoi quasi 8mila addetti, uno dei fulcri dell’economia del territorio oltre che uno strumento di potere e di consenso legato a filo doppio al Pd”. Campaini sarebbe stato, poi, uno dei protagonisti dell’opposizione alla scalata Unipol su Bnl perché “avrebbe posto la cooperazione toscana in condizioni di subalternità rispetto a quella emiliano-romagnola”. E si che sul fronte opposto ci sarebbero stati pezzi da novanta come D’Alema e Fassino. Il presidente Unicoop è uomo dunque ben addentellato nel mondo della politica che sfuma nella finanza e la partecipazione in MPS un ingranaggio fondamentale del consenso politico a Siena.
Ma il problema è che sui consumatori-soci-finanziatori di Unicoop Firenze pesa lo spettro di 400 milioni di euro di perdite: sono la minusvalenza su quel 2,7% di azionariato Monte dei Paschi pagato un tempo a caro prezzo e oggi crollato di oltre il 90% del suo valore proprio per le scelte condivise del manager fiorentino con i vari Mussari e Vigni. Anche nel regime autarchico delle cooperative vige il principio del silenzio rassegnato? Perché la voglia di finanza d’assalto non è finita in rocca Salimbeni: Oddo scrive “Accanto a centinaia di milioni impiegati in bond sovrani come Bot, Cct e BTp, ve ne sono altri investiti in titoli a lunga e a lunghissima scadenza, acquistati prima del crollo dei mercati finanziari, che potrebbero rivelarsi illiquidi o comunque di difficile realizzo. A parte i 30 milioni di obbligazioni Fresh emesse da Bank of New York, convertibili in azioni Mps, di cui abbiamo già scritto (Il Sole-24 Ore del 15 febbraio 2013), c’è un elenco di titoli in scadenza nel 2017, nel 2018, nel 2019, nel 2020 e nel 2049 i cui valori di carico andrebbero analizzati con attenzione e adeguati a quelli di mercato. Tra questi ricorrono emissioni di Lehman Brothers, Merril Lynch, Royal Bank of Scotland, Banco Sabadell, Banca Italease, Banca Carige, Banca delle Marche, UniCredit, Intesa Sanpaolo, Bpu, titoli strutturati, covered bonds e altri prodotti dal profilo di rischio elevato”. Segue elenco troppo lungo da pubblicare … “La domanda è perché una società cooperativa come Unicoop Firenze che gestisce supermercati e si occupa della vendita di generi alimentari e di consumo impiega il risparmio dei soci, tra cui quello di molti anziani pensionati, in attività di questa natura. Lo scopo del prestito sociale era di consentire alle cooperative (che non possono emettere bond e operare come una società di capitale) di avere un proprio canale di finanziamento, indebitandosi verso i soci. La finanziarizzazione snatura la funzione del prestito sociale, esponendo queste aziende a rischi che nulla hanno a che fare con il loro oggetto sociale”. Il presidente Campaini avrà certamente molti motivi per essere amareggiato, ma di avvicendamenti sulle poltrone dell’Unicoop Firenze non se ne parla nemmeno.

IMMOBILI PRIVATI, DEBITI PUBBLICI: IL PATRIMONIO DEI DS

L’amico (o compagno?)  Alessandro Profumo, quando da presidente di Unicredit acquisì la proprietà di Capitalia (2007) da Cesare Geronzi si accollò ben volentieri i debiti che il partito DS si trascinava dietro dalla fine della lunga storia del Partito Comunista Italiano, e che era già stato ristrutturato nel 2003 proprio da Geronzi per la Banca di Roma e da Massimo D’Alema (allora presidente Ds) e Ugo Sposetti (ancor oggi tesoriere)per conto del partito che, pur non esistendo sul piano politico, ha ancora una sede a Roma. Il complicato e intricato giro di fondi, liquidi e immobili è stato ricostruito da Stefano Feltri sul Fatto Quotidiano andando a spulciare i conti dei Ds. Nel 2007 (era il 14 ottobre, meno di un mese – 8 novembre - prima che Mussari annunciasse l’acquisto di Antonveneta) la nascita del Pd consigliò prudentemente a Ds e Margherita di non mettere insieme il patrimonio dei due partiti, forse temendo che il nuovo soggetto potesse durare poco, e comunque il Pd non ha ereditato debiti pregressi.
Poi con la caduta di Profumo e l’arrivo in Unicredit di Federico Ghizzoni la situazione cambia: il 24 giugno 2012 la banca chiede indietro 29 milioni di euro (più gli interessi e le spese) e l'annullamento delle donazioni di un immobile di Bergamo alla fondazione Gritti Minetti e di un appartamento a uso ufficio (con annesso magazzino) a Udine alla Fondazione per il Riformismo nel Friuli Venezia Giulia. Feltri racconta che si sarebbero mosse analogamente anche le altre banche creditrici del partito. Efibanca rivuole 24 milioni di euro e Intesa 13,7 milioni. “Nel complesso gli ex diessini devono saldare la bellezza di 176 milioni di euro, a cui vanno ad aggiungersi fior fiore di interessi. Tanto che sarebbero già stati pignorati 30 milioni di euro in rimborsi elettorali che il partito non ha ancora ricevuto” si legge nel report.
“Gli immobili sono stati posti fuori dal perimetro del partito, lontano dagli artigli dei creditori” prosegue Feltri parlando di fondazioni create apposta per prendere in carico case del popolo e proprietà donate da militanti “e sul debito una provvidenziale legge del 14 luglio 1998 (governo Prodi), ritoccata da un decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri nel febbraio 2000 (quando, guarda caso, a Palazzo Chigi c’era D’Alema): la garanzia statale pensata per i giornali sovvenzionati che dovevano incassare contributi da Palazzo Chigi veniva estesa anche a “soggetti diversi dalle imprese editrici concessionarie”. Se le banche non riescono ad avere indietro gli immobili dei Ds, insomma, i loro debiti li pagheremo noi contribuenti”.
In tutta chiarezza dobbiamo dire che non si evince dalle ricerche di Feltri che i Ds abbiano debiti in corso con la banca Monte dei Paschi di Siena. La cosa potrebbe risultare degna di controllo per la magistratura senese che sta indagando nei conti di Rocca Salimbeni anche per scoprire cosa si nasconde dietro il “credito facile” che veniva concesso agli amici dei banchieri che hanno preceduto Profumo alla guida dell’istituto bancario. Crediti facili come quelli concessi a Brand Manangement per l’acquisto dei marchi della Mens Sana Basket o quelli concessi a B&W Communication per quelli della Robur 1904, ad esempio. Certo la grande pazienza verso il debitore e il buon lavoro svolto da Profumo in Unicredit devono aver inciso positivamente nella scelta di Ceccuzzi (sindaco PD nel 2011-12) a volere la nomina del banchiere genovese nell’aprile 2012 in MPS. Alla faccia della politica fuori dalla banca, ovviamente.   

sabato 23 febbraio 2013

F35 DIFETTOSI. E LI VOGLIONO VENDERE A NOI!



ECCO I FAMOSI AEREI DA COMBATTIMENTO D'ATTACCO CHE ALL'ITALIA NON SERVONO A NIENTE E CHE COSTEREBBERO UNA CIFRA SPROPOSITATA, ALMENO 3 FINANZIARIE DI MARIO MONTI (40 MILIARDI, CIFRA APPROSSIMATIVA VISTO CHE IL LORO COSTO LIEVITA COME IL PANE).

NEW YORK TIMES , 22 febbraio 2013

The Pentagon said on Friday that it had grounded all of its stealthy new F-35 fighter jets after an inspection found a crack in a turbine blade in the engine of one of the planes.
The suspension of flights comes at an awkward time for the military, which is facing automatic budget cuts that could slow its purchases of the planes. The Pentagon grounded all three versions of the jets — for the Air Force, the Navy and the Marines — on Thursday while it investigated the problem.

Venerdì il Pentagono ha detto di aver messo a terra tutti i suoi nuovi F-35 stealthy jet da combattimento, dopo che un sopralluogo aveva trovato una crepa in una pala della turbina nel motore di uno degli aerei.

La sospensione dei voli arriva in un momento imbarazzante per le forze armate, che si trova ad affrontare tagli di bilancio automatici che potrebbero rallentare i suoi acquisti di aerei. Il Pentagono, mentre sta studiando le cause del problema, ha fermato l'utilizzo di tutte e tre le versioni dei jet - per Aeronautica Militare, Marina e Marines.

NON CI SERVONO, COSTANO CARO, NON PRODUCONO PIL PER L'ECONOMIA ITALIANA, VANNO PAGATI CON NUOVE TASSE.
EPPURE IL MINISTRO DELLA DIFESA USCENTE - CHE E' AMMIRAGLIO - CONTINUA A DIFENDERE IL LORO ACQUISTO.

IL MONDO. Bruxelles, 21 feb. Il ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola, ha insistito oggi a Bruxelles sulla necessità per l'Italia di continuare nel programma di acquisto di 90 caccia intercettori e bombardieri Lockheed Martin F35, ricordando che l'attuale governo ne ha già ridotto il numero (inizialmente era
previsto che fossero 130), e sottolineando che hanno un ruolo nella "capacità militare a largo raggio" di un "grande paese membro della Nato" che "non può essere paragonato al Costarica".

L'acquisto degli F35 è stato criticato da diverse forze politiche durante la campagna elettorale, e in particolare dal Movimento 5 Stelle di Grillo, ma è stata soprattutto un'inchiesta giornalistica di 'Presa Diretta', su Rai3 il 3 febbraio scorso, a mettere pesantemente in dubbio la convenienza e l'opportunità per
l'Italia di continuare nel programma di acquisizione degli aerei americani. L'inchiesta ha messo in luce molti problemi tecnici degli F35, il loro costo eccessivo (l'Italia spenderebbe 13 miliardi subito, e fino a 40 miliardi se si calcolano i costi di esercizio e di manutenzione nel corso dei prossimi anni), e il fatto che, proprio per queste ragioni, diversi altri paesi (Canada, Olanda, Australia e Turchia) hanno deciso di sospenderne l'acquisto.

Altre voci critiche sottolineano che l'F35 è un'arma tipicamente d'attacco, e non è dunque Coerente con il "ripudio della guerra" prescritto dalla Costituzione, che dovrebbe implicare capacità militari esclusivamente difensive.

 

venerdì 22 febbraio 2013

IL PD SENESE NEI GUAI FINO AL COLLO: INDAGATO CECCUZZI

LA FRETTA DI FARE LE PRIMARIE SEMBRA CHE NON ABBIA PORTATO FORTUNA AL PD SENESE: IL CANDIDATO VINCITORE DELLA KERMESSE-FARSA DI GENNAIO E' STATO RAGGIUNTO DA UN AVVISO DI GARANZIA PER UNA STORIACCIA ACCADUTA A SALERNO.
Sembra che sia arrivato a toccare il livello politico più alto lo scandalo del pastificio Amato che da mesi occupa le prime pagine locali di Salerno e impegna la procura campana fino a Siena. Per Giuseppe Mussari si tratterà solo di una grana in più l’avviso di garanzia che, secondo Il Mattino di Napoli, gli è stato recapitato, come per  Marco Morelli, numero uno di Merrill Lynch ed ex vicedirettore generale e Cfo di Mps . La novità sarebbe nell’iscrizione nel registro degli indagati dell'ex-sindaco di Siena Franco Ceccuzzi. Nel luglio dello scorso anno vi avevamo dato conto di una cena d’affari a Sorrento a cui avrebbero partecipato (e la notizia non è mai stata smentita) Mussari e Ceccuzzi insieme al titolare del pastificio salernitano Giuseppe Amato, noto per aver sponsorizzato anche la Nazionale di calcio, e all’ex deputato del Pd Paolo Del Mese, che a quel tempo presiedeva la sesta Commissione Finanze della Camera dei Deputati di cui faceva parte lo stesso Ceccuzzi in cui si sarebbero gettate le basi per un finanziamento speculativo:  http://www.ilcittadinoonline.it/news/151217/Crac_Amato__galeotta_la_cena_con_Mussari_e_Ceccuzzi_.html 
Della cena sarebbe stato partecipe anche il primo cittadino di Salerno, Vincenzo De Luca, esponente del Pd, che avrebbe dovuto rilasciare le concessioni edilizie per realizzare la trasformazione dell’ex pastificio della famiglia Amato in un complesso residenziale. Tuttavia l’azienda campana era a un passo dal fallimento e le sue richieste di finanziamento erano già state bocciate da altri istituti bancari, che le avevano giudicate eccessivamente rischiose; in più la società creata per l’operazione vedeva coinvolti gli Amato con una finanziaria off shore con sede a Malta. E sarebbero proprio le indebite pressioni esercitate dall'allora deputato Ceccuzzi sui vertici di MPS per la concessione di un finanziamento da circa 20 milioni, tra l’altro, ad aver creato lo stralcio di indagine senese per una inchiesta-madre sul crac da 100 milioni ha già portato a ventotto rinvii a giudizio e quattro patteggiamenti. Decisiva sarebbe risultata la cena di presentazione nella penisola sorrentina, che avrebbe fruttato poi a Del Mese e a Simone Labonia, ex esponente Udeur, un incasso dalla società decotta di centinaia di migliaia di euro, senza prestazioni professionali. L’accusa formalizzata con gli avvisi di garanzia, quattro perché uno sarebbe stato recapitato anche a Del Mese, è molto grave sotto il profilo dell’immagine: concorso in bancarotta per dissipazione. I quattro sotto inchiesta sono stati invitati a comparire la prossima settimana per gli interrogatori con il Pm salernitano Vincenzo Senatore.

LA QUERELA FACILE: VENDOLA E IL RICATTO DEI POLITICI


DA IL FATTO QUOTIDIANO:

Secondo il sito del settimanale Panorama, Panorama.it, il governatore della Puglia, Nichi Vendola, partecipò ad una tavolata assieme al giudice Susanna De Felice. Magistrato che assolse il presidente di Regione lo scorso 31 ottobre 2012 dall’accusa di abuso d’ufficio. Vendola, sempre secondo il settimanale Mondadori, aveva negato di conoscere quel giudice e metteva in dubbio l’esistenza stessa della foto pubblicata oggi da Panorama.it. Il leader di Sinistra Ecologia e Libertà durante un convegno a Roma alla domanda de ilfattoquotidiano risponde seccato: “Panorama risponderà in tribunale e sarà una delle ragioni per cui avrò una vecchiaia ricca e serena, non vorrei portare anche lei in tribunale, ci interrompiamo qui su questa questione, punto” di Manolo Lanaro

MA QUESTO SIG. VENDOLA PROPRIO NON NE VUOL SAPERE, COME TUTTI I POLITICI, DI RISPONDERE ALLE DOMANDE. NESSUNO SI RICORDERA' TRA UNA SETTIMANA SE LA QUERELA A PANORAMA SARA' VERAMENTE PRESENTATA, MA NEL FRATTEMPO LA MINACCIA E' UTILE A ZITTIRE TUTTI E A GLISSARE.

PATETICO.

D'ALTRA PARTE, COME GOVERNATORE DELLA PUGLIA DA BEN 8 ANNI, NON E' RIUSCITO A COSTRINGERE I RIVA A METTERE A NORMA L'ACCIAIERIA DI TARANTO, SALVO POI NASCONDERSI DIETRO LA MAGISTRATURA CHE NON SI E' PRESA LA RESPONSABILITA' DI CONTINUARE A FAR FINTA DI NIENTE!

La foto di Panorama.it la foto di Panorama La foto con il giudice: Vendola perde le staffe, minacca querele e non risponde

mercoledì 20 febbraio 2013

IL MIO SONDAGGIO ELETTORALE? 5STELLE. PERCHE'

IiL PREZZO DEI CARBURANTI IN iTALIA STA SALENDO DA OLTRE UNA SETTIMANA NELL'INDIFFERENZA SOSTANZIALE DELLA POLITICA NAZIONALE, CHE NEMMENO LO MENZIONA NEI COMIZI E NELLE COMPARSATE TELEVISIVE.

Luca Squeri, presidente Figisc, commentando i dati dell'Osservatorio settimanale sui prezzi, ha sottolineato che per i prossimi giorni si prevede un ulteriore aumento dei prezzi: "La quotazione del greggio, aggiornata alla chiusura di ieri, è ancora risalita rispetto allo scorso fine settimana, con una fase di deprezzamento del cambio euro/dollaro, attestandosi sugli 89 euro/barile rispetto agli 86 dello scorso venerdì. A determinare i prezzi alla pompa sono, tuttavia, le quotazioni internazionali del Mediterraneo dei prodotti 'finiti' (benzina e gasolio), le cui dinamiche hanno registrato nell'arco della settimana, dopo alcuni ribassi un brusco aumento, con un +3,1 cent/litro per la benzina ed un +1,6 cent/litro per il gasolio.

OVVIAMENTE SI DEVE LEGGERE:

APPROFITTIAMO DELLA DISTRAZIONE GENERALE PER RACCATTARE QUATTRINI ALLE POMPE: IL GETTITO PER LO STATO E' IN DIMINUZIONE, LA GENTE CIRCOLA MENO IN AUTO MOBILE E PRESTO ARRIVERA' LA CRISI NEGLI OUTLET  E NEI MEGA CENTRI DELLE PERIFERIE USUFRUIBILI SOLO CON AUTOMOBILE! 

IL PERICOLO PER LE INDUSTRIE PETROLIFERE CHE IL PD ABBIA BISOGNO DOPO IL VOTO DI ACCORDARSI SU SINGOLI TEMI CON IL MOVIMENTO 5 STELLE PER TROVARE UNA MAGGIORANZA E CHE PER CERTE INDUSTRIE NON CI SARANNO PIU' QUEI MARGINI DI SPECULAZIONE CHE LA POLITICA BIPARTISANAMENTE HA LORO SEMPRE OFFERTO.

MEGLIO DI UN SONFAGGIO ELETTORALE. VEDREMO TRA UNA SETTIMANA ...

sabato 16 febbraio 2013

PALAZZI POLITICI SENESI

Finalmente sembra che sia chiaro a tutti quello di cui chiedevamo il rendiconto il 29 novembre 2011: i debiti segreti della Fondazione. L’articolo di Cesare Peruzzi del 15 febbraio titolato “Quando la Fondazione MPS si indebitò per restare al 51% del Monte” spiega bene come fin dall’aumento di capitale del 2008 Palazzo Sansedoni avesse fatto debiti per 490 milioni che non aveva per partecipare all’acquisto di Antonveneta. Debiti segreti per i cittadini senesi ma probabilmente palesi a chi dirigeva la baracca (tale era diventato il glorioso complesso delle istituzioni senesi), a meno che Gabriello Mancini non spieghi che fu tutto parto della sua fervida fantasia. Peruzzi cala impietosamente un coltello affilato per spiegarci i trucchi contabili e finanziari impliciti nel Fresh “per non rischiare una diluizione futura … decise di farsi finanziare l’operazione da Credit Suisse e Mediobanca con la stipula degli ormai famosi contratti Tror, che di fatto erano un debito”. Chissà se la delibera della Deputazione Amministratrice al riguardo è carente di informazione per la Deputazione Generale: segreti di palazzo invece della trasparenza: la città non doveva sapere, non doveva giudicare. Nei mesi seguenti all’accordo col Santander ci fu una capillare campagna di informazione tesa a proclamare la giustezza dell’operato di Banca e Fondazione senza fornire alcun elemento utile alla riflessione al punto che perfino i bene informati delle Liste Civiche Senesi (tra cui c’era un ex sindaco) scoprirono solamente il 3 giugno (tre giorni dopo il closing del contratto Antonveneta) che “la Fondazione ha stipulato un debito di 580 milioni”. La stampa dell’epoca ne fa fede, come i verbali del Consiglio comunale. Borsa Italiana fa fede che il 18 febbraio 2008 il titolo MPS valeva 2,132 euro mentre oggi parte da 0,2359: esattamente il contrario di quanto aveva previsto Mussari nell’annunciare l’affare padovano: come meravigliarsi se le scommesse finanziarie chiamate derivati siano state tutte padellate?
Nel 2011, poi, il pallone avvelenato si fa imparabile visto che si vuole aderire al nuovo aumento di capitale. Parlangeli salta come il tappo di uno champagne scaduto, firma Pieri. Firmano anche Mancini e la Deputazione Amministratrice, mentre il resto degli amministratori stanno in silenzio. Firma anche il ministro Tremonti, distratto forse al punto di non leggere i due numeri messi nel provvedimento. Perché da buon commercialista avrebbe dovuto farsi due conti semplici per sapere che non si doveva fare: mancavano i requisiti di cui all’art. 3 dello Statuto della Fondazione. Così invece di chiederne conto a chi ha firmato, girano per la città geniali cultori del pubblico interesse che vorrebbero modificare lo statuto insieme a chi lo ha infranto. Grazie alle illuminate scelte della Deputazione Amministratrice e al ferreo controllo di Banca d’Italia, Consob, Ministero dell’Economia la Fondazione si ritrovò con debiti superiori al miliardo. Il pool di banche finanziatrici conosce l’incapacità della Fondazione di creare reddito. Non ha una propria attività economica, dipende in tutto e per tutto dai dividendi della banca (quella che chiede l’aumento di capitale) e in più viene finanziata in base a un piano economico che prevede la dismissione delle partecipazioni come Cassa Depositi e Prestiti che dividendi ne hanno sempre dati. C’è chi ha l’opinione che il covenant che proteggeva i creditori dal possibile rischio di default della banca sia alla stregua di un patto leonino, una cosa che assomiglia parecchio allo strozzinaggio, ma anche questo sarà di pubblica discussione quando sarà troppo tardi come per tutto il resto della vicenda.  
Una considerazione finale amara: le ispezioni della Banca d’Italia nel 2010 hanno dato qualche risultato dopo tre anni, ma quasi solo per parare le critiche all’operato dei Vigilanti e non alla salvaguardia del patrimonio dell’istituto bancario. Oggi gli ispettori romani stanno spulciando tutto quello che possono trovare dentro Rocca Salimbeni: corriamo il rischio che quanto possa emergere adesso nelle loro mani diventi di dominio pubblico fra altri tre anni, quando la banca sarà altrove e cinquecento anni di gloria bancaria sfumati nel ricordo del tempo che fu.

lunedì 11 febbraio 2013

UN ALTRO UOMO DEL MONTE DEI PASCHI


Tommaso di Tanno, ex presidente dei revisori dei conti MPS fino al 2012, è convocato in Procura a Siena, forse già martedì 12 febbraio. Sa molte cose sulle vicende Antonveneta tanto da essere indagato per “ostacolo alle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza”. Il dottor Di Tanno risulta essere anche presidente del collegio sindacale di MPS Leasing & Factoring, società presieduta da quel Fabio Borghi (diessino ex segretario locale Cgil) che in qualità di consigliere di amministrazione nel periodo 2006 -2012 votava a favore dell’acquisto di Antonveneta. Secondo Il Giornale svolge lo stesso ruolo in MPS Immobiliare Spa, società presieduta dal candidato montiano Alfredo Monaci (uno che dal 2009 al 2012 è stato nel CdA di Rocca Salimbeni, e anche presidente, fino alla vendita, di Biverbanca). Inoltre Di Tanno è ancora presidente del collegio sindacale di Anima Sgr Spa e Asset Management Holding Spa, due società in cui banca MPS detiene importanti partecipazioni. Per finire al Parlamento, dove risulta essere inserito tra i revisori dei bilanci dei partiti alla Camera dei Deputati “quei bilanci, cioè, nei quali ai controllori sono sfuggiti, per dire così, diversi milioni di euro sottratti dai vari Lusi & Co” per dirla sempre con Il Giornale.
Chissà se non sia il caso che Profumo e Viola si dimostrino veramente discontinui ... con un presidente che di sicuro, all’interno del Monte dei Paschi, non era certo un campione di indipendenza di giudizio. Lo Studio Di Tanno & Associati, infatti, nel 2010 era stato assunto come advisor per la strutturazione dell’operazione di integrazione tra Anima SGR e Prima SGR (la società di gestione del Gruppo MPS), che ha portato alla nascita di Asset Management Holding. Perplessità, seppure minori, sorgevano anche riguardo agli altri due sindaci: Paola Serpi, dirigente delle società collegate Mens Sana Basket ed S.S. Mens Sana 1871, e Marco Turchi, titolare di oltre 50 ulteriori incarichi, per cui il rischio era di non dedicare sufficienti energie al controllo interno del terzo maggiore gruppo bancario italiano e proprio per questo promosso alla Vice Presidenza della banca nell’attuale board. Ma evidentemente nessuno era interessato a sollevare opportuni problemi di conflitto di interessi: non si vuole qui mettere in dubbio l’assoluta correttezza formale delle valutazioni e dichiarazioni della Banca. Le norme, però, sono per propria natura generiche e dovrebbero rappresentare solo un punto di partenza (imprescindibile). Su tale base dovrebbero poi essere definiti i sistemi di regole interne e soprattutto le azioni più idonee per la specifica realtà su cui vanno ad insistere.
Il dubbio degli inquirenti, nei confronti di Di Tanno, è se veramente l’illustre commercialista non sapeva delle macchinazioni ordite per imbellettare i conti spostando le perdite sulle spalle dei futuri amministratori, o faceva finta di non sapere, tanto da mettere nero su bianco sull’ultimo bilancio: “Possiamo attestare, che sulla base dei controlli effettuati e delle informazioni ottenute, non sono state rilevate omissioni, fatti censurabili o irregolarità meritevoli di specifica segnalazione agli azionisti”. La provenienza politica del professore universitario alla Bocconi di Milano (dipartimento studi giuridici) e  Siena (professore di diritto tributario) è legata al ruolo di consigliere per gli affari economici e finanziari dell’ex ministro Vincenzo Visco del Pd e all’ex presidente del consiglio Massimo D’Alema.

Le vittime politiche del Monte dei Paschi di Siena

Mentre nel Palazzo di Giustizia si procede agli interrogatori di indagati o di persone informate dei fatti e si cercano i riscontri per salire di livello verso una “cupola politica” meno fantasiosa di quanto si possa immaginare, sta andando in scena a Siena il declino politico di alcuni suoi esponenti di nome, travolti dalle rivelazioni che solo la stampa nazionale, se ben indirizzata, può raggiungere senza paura di querele e intimidazioni. Ecco di seguito tre casi interessanti che non mancheranno di meravigliare.
Appena ventiquattro ore dopo che la lettera aperta di Alessandro Vigni al presidente della Fondazione MPS Mancini, a nome della sorella Laura candidato sindaco e del circolo di riferimento Città Domani, andava in scena il suicidio politico di Sinistra per Siena. Il Corriere della Sera annunciava che proprio l’approvazione del nuovo statuto come auspicato dai Vigni (nessuna parentela con il castelnuovino ex-Direttore Generale) avrebbe significato l’allontanamento della Direzione Generale dalla città, con tutto quello che ne consegue sul piano del prestigio e del conto economico di Siena. Scatenando inoltre la ressa sui contenuti reali del cambiamento dello Statuto che sembrano esser noti solamente a pochissimi, tra cui evidentemente SpS, con l’inevitabile domanda: chi ha messo le mani sulla città? E perché Laura Vigni è interessata a che Siena perda i suoi 3000 posti di lavoro remunerativamente più importanti?
Venerdì l’Espresso ha dato un colpo mortale alla statura politica di Romolo Semplici, il fiero oppositore della dirigenza del Monte in tante assemblee dell’istituto che con il nome storpiato in Rocco è protagonista di tante dichiarazioni radiofoniche passate in questi giorni. Citiamo testualmente, per non travisare il racconto di Camilla Conti e Luca Piana: “maggio 2006. Proprio nei mesi in cui Vigni ottiene la promozione (Direttore Generale, ndr), la sua famiglia conquista una grande proprietà alle porte di Castelnuovo Berardenga, sulle colline dove il Chianti cambia nome, passando da “Classico” a “Colli senesi”. A vendere è una controllata del monte, la MPS Tenimenti (al tempo l’Amministratore Delegato è Roberto Vivarelli, oggi consigliere comunale di centrosinistra a Buonconvento e direttore generale della stessa MPS Tenimenti ndr). Nella transazione, Vigni formalmente non compare. I primi lotti, stando alle registrazioni effettuate al catasto, finiscono nel febbraio 2006 a una società costituita pochi giorni prima, la Colle Antico. Passano otto mesi e la piccola società si fa da parte, facendo subentrare i familiari del banchiere, che in seguito si intestano anche gli altri terreni che oggi formano “Casa Vigni”: diversi ettari di ulivi, varie abitazioni, magazzini. Nel bilancio 2006 della MPS Tenimenti c’è scritto che la vendita della tenuta di Castelnuovo Berardenga ha fruttato la cifra di 823mila euro. Nulla dice di quanto sia rimasto nelle tasche della Colle Antico. E soprattutto, quanto abbiano pagato alla fine i congiunti di Vigni. Il quale nella compravendita, si trovava in conflitto di interessi. Da notare però che gli intermediari (noi ci chiediamo con quali soldi abbiano pagato la MPS Tenimenti, forse con un finanziamento del Monte? Ndr) non sono sconosciuti alla politica senese. Si tartta di Luigi Fumi Cambi Gado e Romolo Semplici, due imprenditori schierati, in tempi e modi diversi, a sostegno di Ceccuzzi. Fumi Cambi fa parte di una formazione (la “53100”) dove figurano l’avvocato di Mussari e diversi professionisti vicini alla vecchia gestione. Mentre Semplici è tra i promotori di una associazione legata all’opposizione (la “Pietra Serena”) che però, nel 2012, ha cercato di salvare la poltrona di Ceccuzzi, disarcionato dagli ex-Dc”.  L’Espresso quindi tratteggia Semplici come una figura complessa, abile nel gioco delle parti, cui l’associazione risponde nel solito modo trito e ritrito della dietrologia del teatrino politico. Non sarà difficile per Pietraserena provvedere alla pubblicazione dei documenti relativi alla vicenda: se Semplici non ha niente a che spartire con la società Colle Antico, tutto il resto diventerà solo una chiacchiera da bar.
Ma L’Espresso non la finisce qui. Poco più avanti, nello stesso articolo, si narra testualmente che “Al centro di questo sistema c’era dunque l’avvocato Mussari … entrare nel suo giro voleva dire avvicinare il cuore del potere senese. Valeva per gli amici: Antonio De Gortes (fondatore del primo circolo di Forza Italia a Siena come ricorda La Repubblica l’1 febbraio 2013 ndr), figlio del fantino Aceto … viene ad esempio catapultato nei consigli di amministrazione di alcune società del gruppo. Non solo: figura come azionista e amministratore unico di due minuscole ditte, la Blue Wind e la Sg Investimenti, che hanno rilevato alcuni immobili – agenzie e appartamenti – venduti dal Monte dei Paschi da Camaiore a Massa Marittima”. Chissà se a prezzi di mercato o a prezzi di favore: basterà presentare i documenti relativi per far evaporare ogni dubbio. De Gortes attualmente è vicepresidente di MPS Leasing & Factoring, una delle società che Profumo e Viola hanno messo in vendita, anche se sembra scarseggino di questi tempi i compratori interessati.